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Alimentazione: l’ olio di palma è davvero nocivo? Dobbiamo eliminarlo dalla nostra alimentazione? La sua coltivazione è insostenibile per il pianeta? Affrontiamo l’argomento.

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Le accuse contro l’olio di palma, un grasso vegetale estratto dalle drupe (frutti simili alle olive) di alcune varietà di palme e molto presente nei nostri consumi alimentari, mettono paura. Lo ritroviamo in una lunghissima lista nera di biscotti e merendine del supermercato, nelle farciture dei dolci confezionati e nelle creme spalmabili di cui siamo ghiotti sin da bambini, in quasi tutti i cibi pronti e persino nei prodotti per la prima infanzia. Non bastasse, sarebbe anche responsabile di una feroce deforestazione a favore della monocoltura intensiva della palma, e metterebbe a repentaglio interi ecosistemi e la sopravvivenza di molte specie animali del Borneo e di Sumatra. Insomma, un vero e proprio killer per la salute e l’ambiente, che a dispetto di tutto è sulla lista degli ingredienti di moltissimi dei marchi sponsor del nostro Expo 2015. Ma è proprio tutto vero? Non completamente

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 1. Perchè si usa?

Chiunque abbia messo le mani in pasta per preparare una torta se ne sarà reso conto: nella maggior parte delle ricette dei dolci da forno, oltre allo zucchero, è  necessario aggiungere una certa quantità di sostanze grasse: olio, burro, a seconda della preparazione. Nel caso dei prodotti da forno, così come nelle creme, i grassi che regalano una miglior struttura e consistenza al prodotto sono i grassi saturi, cioè quelli semisolidi come il burro, molto meno gli oli vegetali, che sono insaturi e liquidi. L’olio di palma, pur essendo di origine vegetale, rappresenta un’eccezione, poiché ha una composizione in acidi grassi più simile al burro che agli altri grassi vegetali: è infatti composto essenzialmente da grassi saturi (palmitico, stearico e laurico). Di conseguenza ben si presta, per le sue proprietà chimiche, a sostituirlo nelle preparazioni industriali. Innanzitutto, perché ha un costo nettamente inferiore. In secondo luogo, perché è praticamente insapore, e aggiunto alle preparazioni non ne altera la gradevolezza. Inoltre, rispetto al burro garantisce una conservabilità maggiore dei prodotti, per la sua maggior resistenza alla temperatura e all’irrancidimento.

Il suo ingresso massiccio tra i nostri cibi è avvenuto in seguito all’inasprimento delle normative dell’Organizzazione mondiale della sanità sui grassi idrogenati, come le margarine, una trasformazione degli oli vegetali inizialmente impiegata come ripiego al burro, ma reputata subito nociva su vari fronti della salute. Se ora ci ritroviamo a consumare olio di palma, quindi, è anche per evitare che nei nostri alimenti ci fosse di peggio.

 

2. Il suo consumo fa male?

Dipende da quanto ne consumiamo. Trattandosi di un grasso saturo, va considerato esattamente come tutti gli altri grassi saturi: pensiamo per esempio al burro o allo strutto. Come risaputo un eccessivo apporto di grassi saturi aumenta il rischio di sviluppare disordini cardiocircolatori. Quindi, è corretta l’osservazione nutrizionale che dice di limitarne il consumo, ma quello che però è sbagliato è sostenere che altri grassi, come il burro, non facciano male mentre l’olio di palma sì. In sintesi: non possiamo continuare a pensare che la merendina industriale (fatta con l’olio di palma) sia per forza cattiva, mentre la crostata fatta in casa dalla mamma (col burro) sia per forza buona. Perché, di fatto, sono sia buone quanto cattive entrambe, e con nessuna delle due si dovrebbe eccedere nelle quantità. Una soglia accettabile? Quella del 10% massimo sul totale delle calorie giornaliere. Una quota che comprende però tutti i grassi saturi, sia quelli di origine vegetale che animale, non solo quelli dell’olio di palma. Perché di fatto, in entrambi i casi, gli effetti sul corpo sono gli stessi. Sulle accuse di cancerogenicità, invece, non troviamo alcun riscontro nella letteratura scientifica che comprovi la correlazione diretta tra olio di palma e l’induzione di tumori. Fino a prova contraria, quindi, si tratta di accuse infondate, o che confondono l’olio di palma con altre sostanze. Sappiamo piuttosto che l’obesità, che spesso è sì legata a un consumo eccessivo di grassi saturi, può essere correlata a un aumento nell’incidenza di alcuni tipi di cancro: “Ma qui l’effetto è legato all’obesità, non all’olio di palma in sé”. In generale, va sottolineato che contro l’olio di palma non si registrano (perlomeno a oggi) posizioni ufficiali da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, del ministero della Salute, né dell’Istituto superiore di sanità: gli organi preposti a vigilare sulla nostra salute.

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3. La sua coltivazione provoca effetti collaterali sull’ambiente?

Si, e sono innegabili. La coltivazione delle palme da olio, che si concentra nel Sud-Est asiatico ,in particolare in Indonesia e Malesia, ha comportato e comporta tutt’oggi un massiccio abbattimento delle foreste tropicali per far spazio alle nuove piantagioni. Le conseguenze si misurano in termini di biodiversità (connessi alla distruzione dell’habitat di numerose specie, tra cui l’orango), ma anche di ripercussioni come l’impennata di gas serra nell’atmosfera e lo stravolgimento dell’assetto idrogeologico del territorio. Ed è forse proprio in ragione del suo forte impatto ambientale che, per dare forza alle campagne contro la sua produzione, si è calcata la mano nel criticarlo dal punto di vista nutrizionale. C’è però da chiedersi: cosa succederebbe se al posto delle palme, ci trovassimo a dover spremere lo stesso volume d’olio da altre piante (tutte, peraltro, meno dibattute)? La risposta è che occuperemmo ancora più spazio, poiché la produttività delle palme da olio è altissima rispetto alle alternative possibili. Basti pensare che da un ettaro di palme da olio si ottengono quasi cinque volte l’olio che produce un ettaro coltivato a piante di arachidi, e ben sette volte quello di un ettaro di girasoli. Senza contare tutte le conseguenze che l’estensione delle colture comporterebbe sui consumi d’acqua, di fertilizzanti, di pesticidi. O se volessimo, come chiedono alcuni, sostituirlo col burro: siamo consapevoli che l’impatto ambientale sarebbe ancora più drastico? Mettere il problema in prospettiva è purtroppo tutt’altro che semplice e sicuramente per venirne a capo sarà necessario pretendere maggiore trasparenza da parte delle aziende e dal commercio locale. Nel frattempo, va detto che a dispetto degli sforzi del Wwf, e di Greenpeace, che chiedono l’abolizione dell’olio di palma dal mercato del cibo, gli enti internazionali deputati al controllo, come la Fao, non si sono a oggi ancora espressi negativamente sulla questione, se non spingendo verso un’agricoltura più sostenibile.



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